AL DI QUA DEL COVID | GOOD IN ITALY WEBTV
AL DI QUA DEL COVID
AL DI QUA DEL CORONAVIRUS
PANGEA
di Cesare negro Cesare Negro Ingegnere Aerospaziale, Roma
Ricordo che appena la lessi volli subito impararla a memoria e mi affrettai a recitarla a mia sorella. Le parole messe in fila in quel modo avevano un gusto che mi riempiva la bocca. Se non vado errando era il romanzo partigiano di Hemingway a citare quella frase a sua volta. Oggi ne ricordo solamente il frammento iniziale e finale: “nessun uomo è un’isola, completo in se stesso” e poi “ la morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te.”
Nessun uomo è un’ isola.
È difficile convivere così a stretto contatto per così lungo tempo, persino con la donna che ami.
I nervosismi, le sciocchezze, le questioni tendono a venire a galla. Tutti insieme. Forse perché siamo stati fino a ieri troppo distratti per ascoltarli.
Che poi cos’è in fondo una distrazione? “Uno sviamento da ciò che la mente dovrebbe attendere o ciò in cui dovrebbe raccogliersi. E, soltanto dopo, prendendo la causa per l’effetto: divertimento, svago, sollazzo dalle usate preoccupazioni”.
Credo sia questo il nodo: che alcune delle preoccupazioni usate di ieri erano in realtà distrazioni. Eravamo in molti indaffarati, svelti, efficienti. Orbitavamo sufficientemente veloci da non collassare nel campo gravitazionale delle riflessioni più intime. Che alcuni di noi oggi non possono più ignorare.
Prendiamo me ad esempio. Quasi dieci anni di studio di una disciplina che non ho mai saputo amare - e nemmeno ora. Ingegnere aerospaziale a un passo da una nuova fiammante laurea magistrale in ingegneria delle nanotecnologie. Che ha sognato per tutta la vita di pilotare un caccia - finché il sogno non è appassito fra le mura troppo spesse di una scuola militare. E che si è rifugiato nel presuntuoso prestigio di titoli di studio altisonanti. Per essere infine costretto, ancora oggi, a guardare al mio futuro con certo amaro sospetto, a domandarmi se gli entusiasmi suscitati nella gente continueranno a saziarmi nei lunghi anni a venire.
Questa pandemia mi invita a fare i conti, seriamente, con tutto questo. Mi spinge dopo un iniziale periodo di sconforto ad abbandonare il passato e non recidere il futuro con le solite cesoie nichiliste del pensiero. Ad osservare e gustare il presente con maggior chiarezza.
Se guardo alle rovine del mio giovane passato provo rabbia, tristezza e quasi disgusto. Se guardo alle sfide del futuro, figlie di ambizioni non mie, provo sconforto, amarezza e un profondo senso di disillusione. Ma non appena riesco a mettere a fuoco la mia regia cerebrale sul presente ritrovo qualcosa. Gli occhi color miele della mia piccola grande compagna. Le pieghe amorevoli del suo sorriso. Il calore della sua mano nella mia. E un insolito gusto per la lentezza. Nel coma indotto della metropoli ho ritrovato un ritmo più semplice e più felice di vita. Nelle lettere che ho finalmente il tempo di spedire ai miei amici. Nella pila di letture che dopo mesi si assottiglia sul comodino. E nelle cure che posso riservare alla mia Guzmania, che rinverdisce ogni giorno di più.
Riscopro un sapore che credevo smarrito. Il gusto della vita, nei suoi affetti più cari.
Che nessun uomo è un’isola - e sarebbe bello ricordarlo anche più in la, rotte le righe.