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J LOVE SORRENTO: HOTEL DI LUSSO, ARTE E TRADIZIONE
Date: 10/09/2020
ATTUALITA'

Sorrento è località amatissima dagli stranieri per hotel di lusso ma anche per la sua arte e tante le chieste preziose che qui vantano una storia antica. A Sorrento anche ancora è viva la tradizione della Tarsia in legno.
Il Grand Hotel Excelsior Vittoria - Storia
Fu edificato sulla roccia vulcanica sopra un sito archeologico dove sorgeva la villa dell'imperatore romano Augusto. Da cinque generazioni questa sontuosa dimora appartiene alla famiglia Fiorentino. L'avventura ebbe inizio nel 1834 quando venne costruita la villa Vittoria.
C’è chi va a Sorrento per il Grand Hotel Excelsior Vittoria, perché ricerca il piacere di essere ospitato in questa affascinante dimora storica. Arrivano un po’ da tutto il mondo, ma sono soprattutto americani ed inglesi a volere il lusso senza mai distaccarsi dall’estrema eleganza e da un patrimonio importante legato alla passione per la cultura e l’arte che raccoglie collezioni di quadri, sculture, reperti archeologici, mobili d’epoca, di foto e ricordi legati a grandi interpreti della musica.

La famiglia Fiorentino ne è proprietaria da 180 anni e questo albergo a cinque stelle lusso non conosce crisi. Chi viene qui non riceve solo i servizi adeguati alla categoria, ma vive una esperienza unica avvalorata ulteriormente dalla conduzione familiare che rappresenta un valore aggiunto di grande importanza. Oggi i Fiorentino sono alla quinta generazione di albergatori e Guido è ceo e presidente dell’hotel, inoltre membro dell’Executive Commetee di Leating Hotels of the World
La bellissima storia di questo albergo parte da basi molto piccole, sembra quasi la protagonista di una fiaba. In principio era una locanda posta nella piazza centrale di Sorrento, piazza Tasso, e apparteneva alla famiglia Rispoli. Nel 1834 Raffaele Fiorentino sposa Antonietta Rispoli diventando socio per poi rilevare l’attività di famiglia. Da lì ha scelto di investire tutti i ricavi per ingrandire l’albergo e dotarlo di arredi di lusso per i suoi ospiti. Gli affari sono andati molto bene e successivamente i Fiorentino hanno costruito anche l’hotel Vesuvio a Napoli, a lungo il migliore in città, preso in gestione l’Hotel de La Ville a Milano e il Regina Isabella ad Ischia. Con Guido l’Excelsior Vittoria oltre alle cinque stelle diventa lusso e inizia un percorso mirato a valorizzare ulteriormente l’alta qualità dell’ospitalità con una offerta interessante legata alle iniziative culturali e alla ristorazione, affiancato dalla hotel manager Tiziana Laterza.

E’ noto il legame dell’albergo con il tenore Enrico Caruso, più volte ospite nella suite che porta il suo nome, nella quale ha dimorato Lucio Dalla che proprio sul pianoforte della casa ha composto la celebre canzone “Caruso”. A sua volta interpretata dal grande Luciano Pavarotti al quale è stata dedicata la suite Pavarotti nel decennale dalla sua morte, arredata con oggetti personali del tenore e inaugurata con una giornata di grandi celebrazioni, compresa la cena a Terrazza Bosquet con ospiti illustri.

Note sulle chiese di Sorrento tratte da Wikipedia

Il santuario della Madonna del Carmine è una chiesa monumentale di Sorrento, situata nel centro storico: edificata nel III secolo è stata ricostruita nel XVI secolo[1].
Storia[modifica | modifica wikitesto]
Una primitiva chiesa, come testimoniato da alcuni atti notarili[1], venne costruita intorno al III secolo[2], tra il 230 ed il 240[3], nel luogo in cui secondo la tradizione, alcuni abitanti di Sorrento, Marco, Quartilla, Quintino, Quintilla ed altri nove, vennero giustiziati in quanto seguaci della religione cristiana secondo le leggi imposte da Diocleziano[1], dove sorgeva anche un tempio pagano, di cui però non si conosce la dedicazione[4]. Nel XVI secolo, il vescovo Lelio Brancaccio, decise di affidare la chiesa ai padri carmelitani provenienti dalla chiesa del Carmine di Napoli: il primo priore, Bartolomeo Pasca, si fece carico, grazie all'eredità ricevuta dalla madre ed alle offerte dei fedeli, di edificare una nuova chiesa, nello stesso luogo di quella precedente[1], che venne terminata nel 1572 e dedicata a Nostra Signora del Monte Carmelo[4]; ad essa era anche annesso un convento[3]. Durante il corso del XVIII secolo questa venne completamente restaurata, donandole un aspetto classico dell'epoca, in stile barocco[3].

L'interno del santuario
Con l'arrivo a Napoli di Napoleone Bonaparte, i carmelitani vennero scacciati dalla città ed il complesso passò sotto il controllo del Demanio Regio ed in seguito, nel 1816, donato al comune di Sorrento[1]; fu in questo periodo, precisamente a partire dal 1866, che grazie al riempimento del Vallone dei Mulini, per consentire la costruzione di una piazza, che la chiesa si trovò ad entrar a far parte del centro cittadino: infatti precedentemente questa si trovava poco fuori le mura, nei pressi della porta d'ingresso al paese[5]. Restaurata nuovamente nel 1921 e poi ancora nel 1960, come ricordato da due epigrafi, tornò nuovamente ai carmelitani il 27 settembre 1936, sotto pressione del vescovo Paolo Jacuzio, che ne aveva fatto già richiesta l'11 febbraio 1929[1].

L'altare maggiore
La facciata è divisa in tre scomparti da due trabeazioni: quello inferiore presenta un ampio arco centrale, nel quale, durante lavori di restauro sono state rinvenute tracce di colonne di epoca romana[3], affiancato da due piccoli che consento l'accesso al nartece; lo scomparto centrale è caratterizzato da un finestrone con balaustra contornato da due finestre più piccole, mentre quello superiore termina con una croce ed è decorato con stucchi, così come il gli altri due scomparti, nei quali però si aggiunge una coppia di lesene. Dal nartece due portali in piperno, unici superstiti della primitiva chiesa, a fornici quadrate[6], danno l'accesso all'edificio: superato il vestibolo, con due ingressi laterali, sono poste due acquasantiere recanti lo stemma della famiglia Falangola, mentre al di sopra del vestibolo, sulla cantoria è l'organo del 1975, composto da oltre settecento canne, che è andato a sostituire quello precedente del 1913[7].
L'interno del santuario è a navata unica: il soffitto presenta una tela di Onofrio Avellino del 1710, ritraente la Vergine che consegna lo scapolare a san Simone e tutta la scena è contornata da angeli e santi carmelitani[7]. Lungo il lato destro si trova un ingresso secondario, una tela della Vergine con bambino e sant'Alberto e san Domenico ed una della Madonna di Pompei, entrambe custodite in piccole nicchie decorate a stucchi che in passato custodivano statue di santi, un'epigrafe sepolcrale di Nicola Falangola e Patrizio Sorrentino, due tra i principali benefattori per la costruzione della chiesa e due cappelle, entrambe con due tele del XVIII secolo, una rappresentante la Madonna e santa Maria Maddalena e sant'Andrea Corsini e l'altra la Beatificazione di santa Teresa d'Avila[7]. Lungo il lato sinistro invece è posto un reliquiario del XVII secolo ed una cappella con all'interno due dipinti uno raffigurante la Madonna ai piedi della croce con sant'Angelo e l'altro San Francesco di Paola, opera del XVIII secolo[7].

Adorazione dei Magi, opera di Giovanni Cingeri
L'altare maggiore è caratterizzato da una zona absidale dove al centro è posto il dipinto della Madonna Bruna, copia di quello esposta nella chiesa napoletana[1]: fu eseguito nel XVI secolo, probabilmente da Silvestro Bruno, le cui opere sono rintracciabili in tutta la costiera sorrentina; questo nel corso degli anni ha subito diverse opere di restauro, in particolare quella del 1880, avvenuta in modo grossolano, ed alla fine del XX secolo, sotto la direzione della soprintendenza di Napoli, che l'ha riportato all'antico splendore[1]: l'opera è eseguita su due tavole di pioppo, è posta in una cornice dorata ed è stata incoronata su volontà del capitolo vaticano l'11 luglio 1880, cerimonia ripetuta nel 1980, in ricordo del centenario[1]. Ai lati del dipinto sono esposte due tele, opere di Giovanni Cingeri del 1758, ritraenti a destra l'Adorazione dei magi ed a sinistra l'Adorazione dei pastori; la zona si completa con quattro quadretti che ritraggono scene della vita della Madonna e un pannello in marmo scolpito, risalente al XVI secolo, a custodia del sepolcro di Bartolomeo Pasca[7]. Alla sinistra dell'altare maggiore si trova la cappella dedicata ai martiri sorrentini, decorata con altare in marmo e quadro che riproduce il martirio, attribuita ad un autore ignoto del XVII secolo[3], oltre a due tele, una di San Giuseppe Moscati, l'altra del Beato Tito Brandsma, una statua del Sacro Cuore di Gesù ed un'altra di san Giuseppe[7]. Esternamente alla chiesa si trova il campanile[3].

La cattedrale dei Santi Filippo e Giacomo
è una chiesa monumentale di Sorrento; è cattedrale dell'arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia ed è sede parrocchiale[1].
Storia
La prima cattedrale di Sorrento era ubicata nella zona dell'attuale cimitero[2] e fu spostata all'interno della cinta muraria, nella chiesa dei Santi Felice e Baccolo, durante il X secolo, in attesa della costruzione di una nuova, la quale fu terminata intorno all'XI secolo[3] e consacrata dal cardinale Riccardo de Albano, il 16 marzo 1113, alla Vergine Assunta e ai santi apostoli Filippo e Giacomo[1]. Durante il corso degli anni subì notevoli ampliamenti come quelli voluti dal vescovo Domizio Falangola, nel 1450 e dal cardinale Francesco Remolines, nel 1505; dopo l'invasione dei Turchi nel 1558, fu totalmente ricostruita nel 1573[4], per volere del vescovo Giulio Pavese ed assunse l'aspetto attuale, in stile barocco, a seguito dei lavori di inizio Settecento, portati avanti dai vescovi Didaco Petra e Filippo Anastasio[1]. Unico cambiamento degno di rilievo è la facciata, completamente rifatta nel 1924, in stile neogotico, a seguito di una violenta tromba d'aria che danneggiò l'intera struttura[5]. Nel 1936 tutte le opere pittoriche presenti all'interno della chiesa furono sottoposte a restauro[2].
La chiesa, costruita sui resti di un antico tempio greco, si affaccia sulla piazza del vescovado[3] e possiede una facciata in stile neogotico, realizzata nel 1924[4]: suddivisa in due da una trabeazione, la parte inferiore presenta tre ingressi, ossia quello centrale, il principale, risalente al XVI secolo, caratterizzato da due colonne in marmo rosa, provenienti da antichi templi pagani, sulle quali posa un arco ogivale, che funge da tettoia e due laterali, più piccoli; sugli ingressi, tre lunette affrescate: in quella centrale la vergine Assunta, mentre in quelle laterali i santi Filippo e Giacomo[2]. La parte superiore della facciata presenta un bordo decorato con merlature di microarcatelle e nella parte centrale è posto un rosone cieco, di maggiori dimensioni, rispetto ai due laterali, più piccoli; la facciata si completa con due lapidi, una che ricorda i lavori voluti dal vescovo Giuseppe Giustiniani e l'altra il poeta Torquato Tasso[3].
L'interno della chiesa è a forma di croce latina[2], con tre navate, separate da quattordici pilastri e soffitto piano, decorato con tele in stile barocco, raffiguranti i martiri sorrentini del II secolo, realizzate da Francesco Francareccio e Oronzo e Nicola Malinconico[5]. Sopra l'ingresso è posto l'organo, commissionato nel 1901 ai fratelli Fiorentino e ricco di intagli. Il presbiterio è caratterizzata da un soffitto decorato con tele di Giacomo del Pò, realizzate nel 1700 e raffiguranti l'Assunta e San Filippo e Giacomo; sull'altare maggiore è posta una pala di autore ignoto, del XVII secolo, con protagonisti, anche in questo caso, San Filippo e Giacomo. La zona si completa con un coro ligneo, completato nel 1938, in legno di noce del Caucaso e intarsiato dagli artigiani sorrentini: fu sistemato dove precedentemente era un altare donato nel 1856 da re Francesco II al vescovo Francesco Saverio Apuzzo e proveniente dalla chiesa di San Marcellino a Napoli[6]. La cupola sovrastante, affrescata nel 1902 da Pietro Barone e Augusto Moriani, presenta, negli otto spicchi in cui è divisa, i santi compratroni della diocesi[1].
Sul lato destro si aprono una cappella dove sono conservati bassorilievi in marmo, realizzati da Andrea Pisano, che raffigurano gli apostoli e il Redentore[7], oltre ad essere presente il fonte battesimale in cui, nel 1544, fu battezzato Torquato Tasso, la cappella dedicata ai primi quattro vescovi di Sorrento, le cui reliquie, sono conservate sotto l'altare in marmo e la cappella del Sacro Cuore di Gesù; sullo stesso lato si apre anche un ingresso laterale, voluto dall'arcivescovo Giacomo de Santis e realizzato nel 1479: il portale presenta pannelli intarsiati che raffigurano il Credo e scene della vita religiosa cittadina, mentre l'architrave reca gli stemmi di papa Sisto IV e del re Ferrante d'Aragona[4]. Sul lato sinistro sono invece presenti la cappella dedicata al Cuore di Maria, con statua in legno del Citarelli, raffigurante la Madonna che accoglie sotto il suo manto una fanciulla e la cappella del Presepe, nella quale è esposto un presepe napoletano del XVII secolo; sullo stesso lato si apre la sagrestia, costruita nel 1608[2], al cui interno sono conservati le tele dei vescovi, paramenti sacri ed una tavola raffigurante la trasfigurazione del Signore, dono dell'arcidiacono Giovanni Ammone[1].
Decorazioni della navata centrale
Nel lato destro del transetto si apre la cappella di San Michele che custodisce una tavola del XV secolo ritraente la nascita di Gesù, su un fondo in oro e la cappella del Santissimo Sacramento, dove è posta una statua in legno di un Cristo seduto su un trono, del XVII secolo[1]. Sul lato sinistro del transetto è invece la cappella di San Giovanni in Fontibus o della Riconciliazione, decorata con stucchi e pavimentata in marmi, tutti del XVIII secolo ed impreziosita da una pittura della Madonna delle Grazie ed una statua della Madonna Addolorata; sullo stesso lato anche la cappella di Sant'Antonino Abate, patrono della città, con statua in legno del santo, del XVIII secolo ed altare in marmi policromi, risalente al XVII secolo[1].
Degna di nota è la cattedra episcopale realizzata con marmi sia di epoca romana[5] che cinquecenteschi ed il pulpito, del XVI secolo, poggiante su colonne angolari in marmo che culminano con capitelli dorici[3], decorato con un bassorilievo, effigiante il battesimo di Gesù: al di sotto del pulpito, è un altare con una tavola di Salvatore Buono del 1573, che raffigura la Madonna con il bambino e i santi Giovanni Battista ed Evangelista. Ed ancora: una lastra marmorea scolpita con la figura di una leonessa, utilizzata come lapide sepolcrale e risalente al X secolo e quattordici composizioni in legno, riproducenti la Via Crucis, intarsiate da Giovanni Paturzo[3]. Di pregevole fattura il tamburo d'ingresso, realizzato nel 1989, con pannelli intarsiati da artigiani sorrentini, raffiguranti scene di vita religiosa sorrentina come la visita di San Pietro a San Renato a Sorrento nel 43 o 44 e l'arrivo delle reliquie di Filippo e Giacomo nel 1110[1]: l'opera è stata disegnata da Vincenzo Stinga e realizzata da Giuseppe Rocco[3].
Il campanile, spostato rispetto alla chiesa di circa cinquanta metri, poggia su basamento di epoca romanica, risalente probabilmente all'XI secolo, decorato con colonne: sopra al basamento, quattro sezioni quadrate, decorate con archi, cornici, nicchie ed un orologio con piastrelle in ceramiche[3].
Chiesa dei Santi Felice e Baccolo
La chiesa dei Santi Felice e Baccolo, conosciuta anche con il nome di chiesa del Rosario, è una chiesa monumentale situata nel centro storico di Sorrento: è stata cattedrale della città per diversi secoli[1].
Mancano notizie certe sulla data di costruzione della chiesa: alcune fonti parlano del 310[1], sotto l'impero di Costantino I, mentre altre narrano che fu eretta per volere nel duca Sergio di Sorrento, intorno al XII secolo, per scacciare i demoni che infestavano la zona: tuttavia gli storici sembrano concordare sul fatto che la chiesa fosse sorta su un tempio di epoca romana dedicato o a Giove o a tutti gli dei[2]; venne quindi consacrata a san Felice, vescovo di Nola e poi anche a san Baccolo, vescovo di Sorrento e in seguito divenuto uno dei protettori della città[3].
Nel XII secolo, quando si decise di spostare la cattedrale all'interno delle mura cittadine, la chiese assunse il ruolo di principale della diocesi di Sorrento: il ruolo di cattedrale sarà ricoperto fino al XV secolo, quando verrà inaugurata la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo[3]. Nel 1651 la chiesa divenne sede dalla congrega delle anime del Purgatorio, a cui potevano accedere solo i nobili facenti parte del Sedil Dominova[3]. Nel XVII secolo la struttura fu sottoposta ad un imponente restauro che le donò uno stampo tipicamente barocco[4]. A causa della mancanza di fedeli appartenenti alla congrega, nel 1834 la chiesa venne affidata alla Confraternita del Santo Rosario, dal quale poi prenderà il nuovo nome. Gli ultimi lavori di restauro risalgo alla fine del XX secolo, per riparare i danni provocati dal terremoto dell'Irpinia del 1980[3].
La chiesa presenta una facciata divisa in due da una trabeazione: la parte inferiore reca al centro un grosso portale d'ingresso incastonato tra due lesene, mentre tutto il resto della zona si completa con diverse decorazioni realizzate in stucco, sia a motivi geometrici che a fregi, classici dello stile barocco del XVI secolo[4]. La parte superiore invece ha al centro, in asse con il portale, una piccola nicchia con all'interno una statua di san Baccolo, mentre ai lati si aprono due finestroni rettangolari: anche in questa sezione si ritrovano decorazioni a stucco; la facciata termina a timpano con fregio nella parte centrale e sormontata da una croce in ferro.
L'interno è a navata unica, rivestita completamente con marmi policromi e soffitto a cassettoni[4] al cui centro è posta una tela raffigurante la Santissima Trinità[3]; una cappella si apre su entrambi i lati della navata: quella a destra presenta un altare che in origine era sistemato nella chiesa dedicata a san Vincenzo, così come l'organo, sormontato da una tela del XVI secolo, raffigurante san Domenico, santa Rosa e altri santi domenicani, che ricevono il rosario dalla vergine Maria ed intorno al quadro sono raffigurati i quindici misteri[2]; sul lato sinistro invece si trova una cappella, in passato di patronato della famiglia Donnorso, con al centro una tavola rappresentante san Giuseppe, san Gennaro e san Raffaele che circondano un'icona bizantina della Madonna col Bambino Gesù[2].
La zona dell'altare maggiore fu realizzata nel XVIII secolo da Antonio Gandolfo ed è caratterizzata da alcune teste di angelo scolpite che circondano la raffigurazione dello Spirito Santo al di sopra del tabernacolo[2]; sotto l'altare è posta un'urna che contiene le reliquie di san Baccolo[5], mentre nella parte superiore si trova la statua della Madonna del Rosario[2]. La cripta risale al 1753 ed è decorata con un dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino ed è ricca di ex voto, legati alla sua intercessione[1]. Altre opere d'arte presenti nella chiesa sono una tela raffigurante san Baccolo, realizzata nel 1734 da Giovanni Bernardo[1], le statue di san Giuseppe, sant'Irene, san Luigi, san Michele e san Baccolo[2] ed un presepe napoletano del XVIII secolo[1].

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